giovedì 29 gennaio 2009

Come dipingere (approssimativamente) l'Irlanda di oggi

Da un articolo pubblicato su "Io Donna" e ripreso da Corriere.it:

Pat Curtis potrebbe parlare per ore. Ha ventitre anni, fa l’operaio, porta la polo slacciata, un giubbino leggero, lo sguardo serio di chi prima di diventare maggiorenne era già in catena di montaggio. Fa freddo nel cortile della sua fabbrica, e la tettoia di plexiglas sotto la quale ci ripariamo non basta a tenere a bada la pioggia.

Dunque, inizio molto "drammatico". L'autore dell'articolo, Raffaele Oriani, mi è francamente nuovo, ma ammetto di seguire ormai solo superficialmente i media italiani; quello che non mi è nuovo è il vizio di virare il colore di un articolo verso quello che si vuole rappresentare. In questo caso, la crisi piu' nera, la depressione stile USA '29 di una Limerick che affonda.

Proseguiamo:

Pat potrebbe parlare per ore: «Noi irlandesi accettiamo tutto, e anche se ci licenziano non muoviamo un dito. Sa perché? Perché siamo contenti solo quando andiamo a fondo».

Ecco, magari i luoghi comuni no, dai. Gli irlandesi non "accettano tutto", si incazzano come tutti quanti al mondo. Semplicemente, sanno di dipendere totalmente dagli investimenti esteri, sanno di non avere un Paese votato alla manifattura (la Dell di Limerick, e ci torniamo a breve, è/era un'eccezione non da poco) ma ai servizi e alla tecnologia, e sanno che cio' che hanno ricevuto se ne puo' andare in qualsiasi momento. È la triste legge del business, per una nazione che non produce quasi nulla di proprio, e che sta perdendo rapidamente il proprio posto sul mercato. Andiamo oltre.

«C’era molta frenesia» ci dice Niamh Hourigan, giovane ma già quotata sociologa dell’Università di Cork. «Che mimetizzava la paura che tutto potesse finire all’improvviso. Mio marito è svizzero, e mi dice che a Ginevra non ha mai visto l’assalto ai centri commerciali del nostro sabato pomeriggio»

Francamente Ginevra mi manca, ma ho ben presente i centri commerciali italiani, e pure qualcuno in giro per Europa e USA: "assalto" è la parola che si addice a qualsiasi shopping center nel weekend, in tutto il cosiddetto Occidente. A Londra, Lisbona, Zurigo, Parigi non ho visto nulla di diverso. È pero' vero che in Irlanda, e a Dublino soprattutto, c'e' stata una corsa alla costruzione del centro piu' grande possibile, che e' diventata quasi paradossale; il tutto in pochi anni, ed e' forse questo che fa impressione, specie in una nazione di 4 milioni e mezzo di abitanti. Il cinema multisala piu' imponente (e fa niente se i film sono 4), il parco negozi piu' ampio (e sono sempre quelle catene, ovviamente), eccetera: vi suona familiare? Ecco, solo che in Italia siamo 60 milioni circa (censiti). In Irlanda qualcosina in meno.

Ma ce la farà l’Irlanda? E ce la farà Limerick? In città sono in molti ad avere già un nipote in Australia, un figlio in Canada, uno zio nella Russia di Putin. Dopo anni di immigrazione polacca, l’ironia vuole che comincino a farsi vedere anche aziende di Varsavia a caccia di disoccupati irlandesi. Ma nessuno getta la spugna: al freddo di gennaio, in O’ Connell street c’è chi aspetta l’autobus con il piumino d’oca, chi spinge carrelli in maniche di camicia. Michael O’ Donnell, che da dieci anni accompagna i turisti sulle orme dei personaggi di Frank McCourt, dice che gli hanno chiesto se non stiano tornando i tempi delle ceneri di Angela. Lui ammette che non lo sa. Ma di una cosa è sicuro: "Noi irlandesi siamo gente tosta. Ne abbiamo viste di peggiori".

Vero. Vero sia che ne abbiano viste di peggiori, sia che abbiano familiarita' con l'emigrazione. Limerick, che e' stata abbandonata dall'unica azienda che ne garantiva la prosperita' (il colosso informatico Dell, appunto), è probabilmente la prima citta' a doverci pensare seriamente da qualche anno; ma è un feeling che si sta diffondendo: alle prime avvisaglie del cosiddetto "credit crunch", la radio nazionale RTE1 ha dedicato un'ora di trasmissione ai suggerimento per l'emigrazione. Boston, il Canada, l'Australia ovviamente restano gli airbag a cui affidarsi in caso di incidente; peccato che si siano dimenticati quasi tutti di come si usino, e un'intera generazione non ne ha mai nemmeno avuto il bisogno.

E per noi che abbiamo goduto degli ultimi ruggiti della tigre celtica? Beh, a leggere questo articolo sembrerebbe proprio che siamo ridotti a scatenare risse nei pub, borseggiare temerari turisti e comprare biglietti aerei per la Polonia.

Note "di colore" come:

In tempo di crisi le ferite bruciano più del solito.
Una è McCourt, lo scrittore che ha regalato alla città una fama sgradita. Un’altra è Moyross, il quartiere che in tutta l’Irlanda vuole dire violenza, droga, emarginazione. Qui anche negli anni migliori la disoccupazione sfiorava il 30 per cento, e anche adesso che i licenziamenti sono più degli investimenti le cose seguono un corso a se stante: «I reati a Moyross stanno diminuendo drasticamente» ci dice Allen Meagher, che nell’area ha lanciato il progetto di editoria sociale Changing Ireland. «Mentre a non cambiare sono il pregiudizio e l’esclusione sociale».

diciamo pure che fanno molto "troubles", rimandano alla mente cose come "Nel nome del Padre", "Un perfetto criminale" o qualsiasi film - magari pieni di luoghi comuni, di nuovo - vi venga alla mente che rappresenti l'Irlanda delinquente, terrorista, da guerra di strada. La verita' e' che se in Italia, o anche solo nella vicina Inghilterra, avessero un livello di criminalita' del genere, potremmo il piu' delle volte mandare i poliziotti in giro con le fionde al posto delle pistole. Certo, 4,5 milioni di abitanti contro 60 (censiti), l'abbiamo detto; ma prima di dipingere per forza con colori eccessivi, vogliamo capirla che qualcuno che ti legge e ti capisce in Irlanda c'e'?

Questo fermo restando che un approfondimento del genere, sul Corriere, non lo vedevo da quando ero alle scuole medie, e che quindi ho apprezzato molto l'idea. L'idea, appunto; la realizzazione, un altro paio di maniche. Del resto non si puo' ridurre un Paese a una paginetta di giornale: ma se proprio bisognava dipingere Limerick, e l'Irlanda, come il simbolo del collasso economico europeo, beh, si poteva dire qualche verita' in piu'.

Un esempio? Lo sapevate che recentemente gli irlandesi sono stati riconosciuti da uno dei tanti studi che ci entrano in casa via TV ogni giorno come il popolo piu' ottimista d'Europa? Andate per le strade, nei pub, nelle librerie dove la gente ti avvicina per commentare la giornata, la copertina di una rivista o un fatto di attualita', e verificatelo da soli. Poi rileggete l'articolo di cui sopra, e lo vedrete con un colore diverso.

4 commenti:

andima ha detto...

sono d'accordo, son stato a limerick proprio lo scorso fine settimana e nei pub non si avverte per nulla quest'atmosfera apocalittica descritta nell'articolo del corriere, ma anzi li' son anche piu' socievoli e sorridenti di dublino, forse meno contaminati dalla colonizzazione dei brand occidentali.

p.s. ma da quand'e' che hai rinominato il blog?

saluti

Baund ha detto...

Ho letto i tuoi ultimi aggiornamenti infatti :)

Ho rinominato il blog da qulche settimana, visto che mi viene da farlo piu' serio di quanto non lo fosse un anno fa. Dovrei aprirne un altro del tutto, probabilmente, ma sono troppo pigro per farlo!

freespirit ha detto...

oriani non lo conoscevi, ma non ti sei perso molto. ho letto i tuoi commenti all'articolo. conosco entrambi: irlanda e il giornalista in questione. sinceramente non posso che non essere d'accordo con te, linea dopo linea. sai, quando chi osserva è cieco e molto ma molto superficiale nel vivere e osservare la realtà che lo circonda non può che ricorrere ad approssimazione e luoghi comuni. e la chiamano informazione. triste sì.

yellowstone ha detto...

ciao, sono d'accordo anche io con quello che dite qui. e soprattutto si comincia ad essere stufi delle esagerazioni catastrofiche tipiche del giornalismo italiano. sembra che ci sia una sorta di sadomasochismo nei loro articoli, come se osservassero il mondo con una lente deformante, come al solito sempre al negativo e tendente all'approssimazione. ho letto altri articoli di raffaele oriani e conoscendo parte delle realtà che descrive, in generale non sono d'accordo con i suoi punti di vista. per concludere rimando al pezzo di nanni moretti sul giornalismo italiano...